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Recensione: PERFIDIA, un bel film italiano lontano dal nostro cinema medio e parente della disturbante new wave ellenica

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OC753610_P3001_181955Perfidia, un film di Bonifacio Angius. Con Stefano Deffenu, Mario Olivieri, Noemi Medas. Concorso internazionale.
OC753963_P3001_182019Padre e figlio in un interno-inferno piccolissimo borghese, in una città che è Sassari ma potrebbe essere un qualsiasi posto in Italia. Il padre cerca di sistemare quel figlio di 35 anni catatonico, passivo, che non ha mai lavorato. Impresa impossibile. Un film che inizia in toni da commedia e si fa via via claustrofobico, malsano, disturbante. Bonifacio Angius, al suo secondo lungometraggio, è una rivelazione. Chi sta a Roma e Milano, le sole città in cui è uscito, corra a vederlo. Voto 7
1441440_1570616893154164_2231253824978393480_nPrima che fosse proiettato lo scorso agosto al Locarno Film Festival, la diffidenza intorno a questo unico film italiano del Concorso era tanta. Stando alle voci che circolavano, Perfidia si annunciava come l’ennesimo film sociologizzante sulla generazione giovane, la generazione perduta dei trentenni condannata alla disoccupazione, alla passività sociale, all’eterno stare in famiglia ecc. ecc, e allora molti a pensare (me compreso), macheppalle sarà la solita lagna. Invece no, Perfidia si è poi rivelato alla visione un film notevolissimo, e non è quella cosa lì che si temeva. Sì, certo, c’è un trentacinquenne che non ha mai fatto una minchia nella vita sua, che campa alle spalle del padre, con il quale divide dopo la morte della madre una casa di piccoloborghese tetraggine a Sassari (ma potremmo essere in una delle infinite medie città d’Italia). Padre traffichino e maneggione di cui non si capisce il mestiere, però bene ammanicato con  qualche poterucolo dev’essere, visto che gli offrono di entrare in politica. I dialoghi tra lui e il figlio sono monosillabici, soprattutto da parte del rampollo abulico, catatonico, come sconnesso dal mondo (autismo!, squittirebbero le psicologhe). Il padre parla e parla, il figlio se ne sta blindato e inaccessibile nella sua passività, ha giusto un paio di amici al bar, per il resto parcheggia in casa o al massime deambula come un automa. Segnali di vita in quel corpo, su quella faccia, in quel cervello, prossimi allo zero. Anche quando il genitore gli procura un lavoretto sono disastri.Inizialmente, in questo film ci son toni da commedia italiana antica e semiantica, con il genitore cinico e scafato che vuol dar lezioni di vita a quello sfigato di figliolo, lo vuol scuotere dal torpore, farlo diventare un uomo, cioè uno smargniffone come lui. Avete in mente Alberto Sordi alle prese con il figlio imbranato Carlo Verdone di In viaggio col papà? O, scendendo più in basso, l’episodio portante di I soliti idioti (il primo), con Francesco Mandelli sconciato da quel mascherone gommoso che si scorrazza per l’Italia l’erede imbranato? Ma quella della italian comedy è un’illusione che dura poco. Già da subito il modo con cui gira il sassarese Bonifacio Angius, al suo secondo lungometraggio e già parecchio bravo, ha poco da spartire con i vari sordismi. Messinscena austera e di plumbeo rigore. Atmosfere livide e soffocate. Finché realizziamo che siam stati scagliati in un interno e inferno di famiglia dove da ridere c’è poco, anzi niente. Il padre dopo un ictus finisce su sedia a rotelle, badato da quel figlio che, diventato padrone, rivela man mano lati oscuri, mostruosi, perfino criminali. I toni comedy degli inizi lasciano il posto a uno spettrale gioco di massacro, a una partita tra carnefice e vittima. La follia abita nel quotidiano, e non appena vengono a mancare le inibizioni, i meccanismi di controllo, eccola esplodere. C’è pochissimo in questo film del nostro cinema passato, nemmeno della tradizione grottesco-dark di Germi, Risi, Ferreri. Qui siamo in un altro territorio, in una landa feroce dove ogni traccia di umanità si è consumata e disseccata, dove la pulsioni guida è l’avidità, in un’ottusità, in un buio della mente e della morale da far paura. Qualcosa che se mai ricorda la stolida, sciagurata coppia assassina di Sightseers di Ben Wheatley. Ma quei miasmi familiari mi hanno fatto venire in mente anche il nuovo (quasi nuovo) cinema greco, i rapporti umani anzi disumani e le claustrofobie di Dogtooth (Canino) di Yorgos Lanthimos e di Miss Violence di Avranis. Come se il cinema più disturbante in circolazione si fosse espanso da Atene fino a Sassari. Stiamo a vedere come questo film nato e prodotto fuori dai circuiti soliti del cinema italiano, e davvero indipendente, verrà accolto da addetti ai lavori e pubblico. Intanto, chi sta a Roma e Milano, le due città in cui è uscito la scorsa settimana, corra a vederselo.


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